A inizio anno Clorofilla è diventata socio di Euromobility, l’Associazione dei Mobility Manager in Italia di cui vi abbiamo parlato in questo articolo.
Abbiamo avuto l’occasione di conoscerne il presidente in carica dal 2002, l’ingegner Lorenzo Bertuccio, e di discutere con lui dei cambiamenti in atto nel mondo della mobilità e della situazione attuale del nostro paese.
Lorenzo Bertuccio vanta un’esperienza trentennale come ricercatore per vari istituti di ricerca sullo sviluppo sostenibile come l’Enea, il CNR e l’ISPESL. Svolge da anni attività come consulente per la pianificazione urbana e la mobilità. In particolare si occupa della redazione di Piani Urbani di Mobilità Sostenibile e relativi piani di settore, alla redazione di Piani di Spostamento Casa-Lavoro e Casa-Scuola, agli Studi e alle Valutazioni di Impatto Ambientale.
Ha collaborato con i Ministeri dell’Ambiente e dei Trasporti sulla tematica della sostenibilità e ha fatto parte di commissioni e task force di diversi enti pubblici in materia.
Docente e formatore per numerosi atenei italiani ed enti in tema di mobilità, si occupa da anni di diffondere la cultura della mobilità sostenibile, anche attraverso l’Associazione Euromobility.
Ad oggi Euromobilty conta 43 soci per un totale di 80.200 dipendenti. Da poco anche Ferrari si è aggiunta al novero. Ad aver lavorato con Euromobility sono molti importanti gruppi industriali italiani, come Sperlari e Barilla. Una riprova di quanto l’attenzione alla mobilità stia diventando cruciale nell’economia attuale.
Ingegner Bertuccio, si può parlare di mobilità sostenibile in Italia?
Si può e se ne parla, tanto che io mi occupo di questo tema da moltissimo tempo. Negli ultimi cinque o sei anni in particolare riconosco un cambiamento importante nel paese.
Un cambiamento iniziato con il Covid?
In realtà no, in Italia è arrivato prima il programma sperimentale del Ministero dell’Ambiente per le città, che ha permesso di finanziare 84 progetti di mobilità sostenibile grazie all’intervento dello Stato.
A questo ha fatto poi seguito il sostegno derivato dalla L. 77 del 2020 connesso all’emergenza epidemiologica. Questo, oltre al famoso “bonus mobilità” di cui molti italiani hanno usufruito per l’acquisto di un mezzo personale, ha istituito l’obbligo per tutti i comuni sopra i 50.00 abitanti e le aziende con oltre 100 dipendenti, di adottare un piano della mobilità annuale e di dotarsi della figura di un mobility manager.
Una bel passo avanti, dunque.
Senz’altro, ma ancora insufficiente. Bene le politiche finanziarie, bene gli investimenti, ma servono leggi più importanti che strutturino questo cambiamento e gli diano una prospettiva di lungo termine. Altrimenti il rischio è che finiti i finanziamenti l’investimento collettivo sulla mobilità sostenibile si fermi, come sta avvenendo ora.
Cosa potrebbe fare la differenza in questo senso?
Un maggior coinvolgimento del privato, perchè gli investimenti non arrivino solo dai comuni che ricevono finanziamenti per attuare dei progetti. Ma perchè i privati investano in questo settore ci vuole maggiore sicurezza, quindi appunto normative più robuste che forniscano maggiori garanzie all’imprenditoria.
Quali sono le misure che si attuano in un piano della mobilità sostenibile? A quali strumenti si può fare ricorso?
La bici è senz’altro la prima alternativa che cerchiamo di considerare. Ovviamente bisogna analizzare la situazione di partenza della città o dell’azienda interessata. La grande azienda che si colloca in un polo industriale in area peri-urbana o sub-urbana purtroppo non può avvalersi di questa soluzione. In tal caso si ricorre ad altri strumenti.
Ad esempio?
Si valuta anche con il coinvolgimento delle amministrazioni locali la situazione dei trasporti pubblici per capire se c’è un margine di miglioramento. Ad esempio si possono rivedere le linee e gli orari di bus e treni nel caso di grandi aziende che impattano in modo importante sugli spostamenti nell’area. Dopodiché si può ricorrere a soluzioni di trasporto combinato o collettivo. Si possono organizzare iniziative di car pooling. Le idee sono tante.
E per quanto riguarda la bici? Come si può incentivarne l’uso in azienda laddove è possibile?
Anche qui si possono mettere in atto molte iniziative. Innanzitutto bisogna garantire per quanto possibile la sicurezza di chi viene in bici, provvedere parcheggi custoditi, ad esempio. Si deve ragionare sulla disponibilità di strutture come spogliatoi con docce e armadietti dove possibile. Una forma di incentivo che funziona molto bene in azienda è quello della gamification, che permette di assegnare premi o riconoscimenti per chi pratica il bike to work. Che si tratti di un riconoscimento chilometrico o di una lotteria fra chi si reca in bici al lavoro o di premi per chi percorre più chilometri in un dato periodo di tempo, le forme da attivare sono tante. A volte bastano anche cose apparentemente banali o attenzioni minime per attivare un cambiamento: installare una rastrelliera, una colonnina di assistenza.
Spesso l’impressione che abbiamo è che l’Italia sia in ritardo su questo fronte.
Si tratta di una percezione sbagliata. È vero che in alcuni paesi dove esiste una tradizione legata agli spostamenti in bici molto importante, ma si tratta di alcuni casi e di alcune aree, esempi che possiamo trovare anche da noi. Per il resto l’Italia è sempre stato uno dei paesi più solerti nel recepire le raccomandazioni dell’Europa in materia di ambiente. A volte anzi è l’Italia stessa a fornire input importanti in questo senso. La normativa sulla qualità dell’aria nasce in Italia. Ad oggi quella relativa al management dei trasporti è qualcosa che credo abbiamo solo noi e la Francia. Non siamo così indietro come si pensa, anzi. A livello europeo vedo molto fermento sulla mobilità, e questo non può che farci piacere, ma bisogna capire con quale forma di legislazione certi provvedimenti saranno recepiti per valutarne l’efficacia.
Cos’è più importante nella diffusione di una mobilità più sostenibile, la presenza di infrastrutture adeguate o la cultura?
Si parla spesso della mancanza di infrastrutture come del motivo principale per cui le persone non si spostano in bicicletta, ma io credo che si tratti di una grande scusa utile a tutti. La cultura è un aspetto centrale. È ora di iniziare a scardinare certi alibi dietro cui ci nascondiamo e a ragionare diversamente. Come associazione crediamo molto in questo, ed è perciò che da anni portiamo avanti progetti educativi nelle scuole, giornate di formazione e di educazione, iniziative ludico-formative e tutto quanto può contribuire a fare cultura della bicicletta. Se lavoro in questo settore da tanti anni è perchè io per primo credo molto nel valore sociale della bicicletta e nel ruolo sociale del mobility manager, una figura che finalmente inizia ad essere conosciuta e per il quale si sta recependo la necessità di una formazione specifica.
Lei crede che la bicicletta sia uno strumento del futuro o pensa che la mobilità sostenibile debba guardare ad altri mezzi di trasporto?
Ovviamente da ciclista non posso che credere fortemente nel ruolo che la bici giocherà in futuro. Le bici elettriche di certo favoriranno il passaggio verso una mobilità diversa, facilitando il passaggio dai mezzi motorizzati alle due ruote. Inoltre va visto con favore il fatto che le bici hanno acquisito negli ultimi anni un certo appeal, diventando oggetti più desiderati. Mi sento di dire che sia una cosa positiva. Di certo esiste un cambiamento anche generazionale che ha tolto molta attenzione all’auto e alla mobilità tradizionale. Un tempo i ragazzi aspettavano di compiere la maggiore età per avere la macchina, oggi per loro essere connessi è più importante che comprare una macchina. Lo smartphone è percepito come un oggetto indispensabile, mentre l’auto non lo è più. La connessione è rappresentata dal cellulare e non dall’auto. Per il lavoro del mobility manager questo è un vantaggio.